Roberto PierdiccaRoberto Pierdicca è ricercatore all’Università Politecnica delle Marche nel campo della geomatica, la disciplina che sfrutta l’uso di dati 2D e 3D per la gestione e l’interpretazione di fenomeni complessi.

Quando è nata la geomatica?

Si può dire che la geomatica è vecchia quanto il mondo: misurare la forma della Terra, degli oggetti, le distanze e le posizioni è un’esigenza nata di fatto insieme alla civiltà umana. Iscrizioni rupestri trovate in alcune caverne mostrano delle vere e proprie mappe, indispensabili ai loro antichi abitanti per ritrovare la strada di casa. E anche Talete, quando misurò le dimensioni delle piramidi sfruttando le proporzioni tra la sua ombra e quella delle piramidi stesse, in qualche modo faceva geomatica. Ovviamente le unità di misura e gli strumenti non erano quelli di oggi, ma il concetto di base è lo stesso: misurare e interpretare la forma della Terra e degli oggetti che essa contiene.

La geomatica oggi, invece, che cos’e?

Oggi si può definire geomatica tutto quello che possiamo immaginare come rappresentazione tridimensionale del mondo che ci circonda, attraverso gli strumenti più diversi. Le mappe metereologiche, ossia quelle mappe di calore che ci mostrano dal satellite come si sta spostando una tempesta, sono un esempio di geomatica. Ma anche la mappa di un impianto urbano per la segnaletica dei parcheggi, o degli stalli per le biciclette elettriche, sono geomatica. In sintesi, lo è ogni sistema che lega una determinata informazione a una posizione sulla Terra.

Quali sono le applicazioni di cui ti occupi più direttamente nella tua ricerca?

Un mio pallino è anzitutto la statistica, che insegno all’università, perché in qualche modo rappresenta il punto di partenza di ogni misurazione: quando si fa una misura è sempre necessario in primo luogo stabilire se quella misura è vera oppure no, tenendo conto degli errori strumentali, umani e statistici. La carriera mi ha poi portato a lavorare su applicazioni della geomatica in ambito forestale e agricolo, a supporto di chi lavora in quel campo. Per capire l’utilità di queste ricerche è utile fare un esempio: parte del lavoro dei forestali è andare personalmente nei boschi per realizzare vari tipi di misure sulle piante e sugli alberi, come il cosiddetto carbon stock, ossia la capacità di una pianta di trattenere ed emettere anidride carbonica e ossigeno. Queste misure vengono fatte manualmente, con ovvie limitazioni in termini sia quantitativi sia qualitativi. Il mio lavoro, grazie alla geomatica, è quello di accelerare questi processi e renderli più affidabili: attraverso per esempio l’uso di un laser scanner, è possibile fare un salto di qualità enorme rispetto alla misura manuale, con la possibilità di scansionare migliaia di piante e avere così molti più dati, che saranno anche più precisi.

In modo simile, nel campo dell’agricoltura di precisione realizziamo delle mappe di prescrizione, che indicano alla macchina trattrice dove allocare il diserbante oppure dove andare (o non andare) a fare il raccolto, a seconda che la semina sia pronta o meno.

Ci sono altri esempi interessanti sull’impatto della geomatica?

Un settore davvero appassionante è quello dell’archeologia virtuale, su cui ho lavorato per diversi anni. Anche qui il principio di base è simile a quello già descritto: gli archeologi tipicamente ricostruiscono con disegni a mano un sito archeologico, ma l’apporto della tecnologia e della geomatica può (almeno in parte) sostituire le misurazioni umane, con un salto di qualità in termini di precisione. Grazie alla fotogrammetria, in particolare, possiamo studiare in grande dettaglio la stratigrafia di un sito archeologico: si tratta di un’operazione molto utile e importante soprattutto per ricostruire patrimoni perduti (o almeno salvarne la memoria) per cause naturali o di guerra. Per esempio di recente abbiamo portato nel metaverso la Siria perduta, per far conoscere a tanti utenti monumenti che oggi non esistono più.

Ma potremmo fare mille altri esempi di applicazioni utili. Grazie all’intelligenza artificiale, abbiamo fatto previsioni di traffico raccogliendo i dati raccolti dalle automobili che installano sensori di GPS. Siamo al lavoro nel mappare le zone terremotate per capire, attraverso i droni, quali aree sono migliori o peggiori per la ricostruzione o per lo spostamento della popolazione. Abbiamo portato la geomatica a scuola attraverso la realtà virtuale, che ci ha permesso di realizzare speciali unità didattiche e nuovi metodi di visualizzazione. Infine, stiamo portando la stessa realtà virtuale anche in ambiente clinico, per stimolare alcune facoltà cognitive di pazienti neurologici.

C’è un’applicazione della geomatica che ritieni particolarmente promettente in prospettiva futura?

Qualche tempo fa, da semplice appassionato, ho partecipato a una serata di osservazione astronomica. Oltre alla classica parte di spiegazione sulle costellazioni, mi ha colpito molto il fatto di aver osservato, considerando una porzione di cielo estremamente piccola e in un tempo limitato, qualcosa come 50 o 60 satelliti. Molti di questi satelliti sono oggi dedicati alla cosiddetta earth observation, cioè si occupano di monitorare la Terra a diverse frequenze, spesso con la capacità di raccogliere informazioni inaccessibili per i nostri occhi, oltre lo spettro del visibile. Si tratta di satelliti che, se tarati in modo opportuno e analizzati secondo specifici algoritmi e metodologie, possono realizzare osservazioni e previsioni molto preziose sui cambiamenti climatici, l’innalzamento delle acque, lo scioglimento dei ghiacciai, senza contare la capacità di individuare la presenza di reperti archeologici o l’esistenza di incendi in tempo reale. Ecco, io credo che il futuro della geomatica, al di là delle applicazioni terrestri che sono più legate ai vari contesti individuali e locali, dovrà essere orientato soprattutto a obiettivi di carattere globale: l’earth observation, da questo punto di vista, è un esempio perfetto.

Prima hai accennato all’intelligenza artificiale (IA), che negli ultimi tempi sta mostrando progressi incredibili. Qual è e quale potrà essere il suo impatto nel campo della geomatica?

Credo che il discorso vada suddiviso in due parti. Se parliamo dell’apporto dell’intelligenza artificiale all’automazione dei processi, il suo ruolo già oggi è fondamentale. Faccio un semplice esempio: in molti studi di geomatica (per esempio nella topografia) viene raccolto un gran numero di dati tridimensionali, ma quelli effettivamente utili il più delle volte sono solo una piccola frazione, dell’ordine del 20%, mentre gli altri vanno scartati. Se questa operazione viene fatta manualmente può durare anche giorni o settimane, mentre l’intelligenza artificiale può realizzare il filtraggio in modo automatico e in breve tempo. Tuttavia, al tempo stesso non sono affatto sicuro che l’IA sia così affidabile nel controllo finale e nell’interpretazione dei dati: le macchine non si pongono dubbi, a differenza della statistica. Sarà quindi importante, a mio avviso, sviluppare metodi che permettano di avere garanzie sulle scelte e le interpretazioni fatte dalle IA.

Quanto è importante nel tuo lavoro la multidisciplinarietà e la collaborazione con esperti di altri settori?

Personalmente, già nel mio percorso di studi ho abbracciato questa visione della multidisciplinarietà: ho studiato infatti ingegneria edile-architettura, per poi fare un dottorato in ingegneria informatica.

Se parliamo della geomatica, si può dire tranquillamente che sia la disciplina multidisciplinare per eccellenza. Non a caso a volte viene definita “una scienza per le altre scienze”: noi infatti raccogliamo dati, li certifichiamo e li mettiamo a disposizione dei professionisti delle varie discipline.

Quali sono i feedback che hai ricevuto dagli studenti e le studentesse che hanno partecipato ai match di Sumo, soprattutto in relazione all’interesse verso la tua disciplina?

Diciamo che da questo punto di vista sono piuttosto fortunato, perché parlare con i ragazzi di geomatica e modelli tridimensionali è molto facile. Una cosa che mi ha colpito è che sono arrivate molte domande anche sulla parte più personale, per esempio sul perché avessi incluso Full Metal Jacket tra i miei film preferiti o perché avessi scelto di fare il ricercatore.

Detto questo, credo che questi eventi divulgativi siano davvero fondamentali, ma sono ancora troppo pochi: sarebbe importante in futuro investire molto di più nella divulgazione della scienza.