Marco Serino, archeologo dell’Università di Torino, sarà tra i ‘magnifici 4’ che si sfideranno a Perugia nelle finali di Sumo Science edizione Marie Curie
Tralasciando la figura cinematografica di Indiana Jones e quella del mondo dei games di Lara Croft, l’archeologia non rappresenta di solito una scelta che molti studenti fanno, perché hai deciso di dedicarti a questi studi?
Mi è sempre piaciuta la Storia (la “S” maiuscola è voluta!). Tuttavia mi accorgevo che si trattava di una materia piuttosto intangibile. Cercando quindi qualcosa di più concreto, che si potesse toccare con mano, e che avesse a che fare con il passato dell’uomo, mi sono imbattuto nel mondo dell’archeologia. Fare archeologia è proprio questo: toccare con mano la Storia.
Le tue ricerche si sviluppano studiando manufatti antichi provenienti dalla Grecia e dalla Magna Grecia, in particolare ti occupi di archeologia del gesto. Cosa significa?
Lavoro tanto con la ceramica, e in particolare con i vasi prodotti dagli antichi artigiani greci e della Magna Grecia (sud Italia – eh sì, la Grecia era qui anche da noi!!). Attualmente mi occupo soprattutto di “archeologia del gesto” artigianale, ovvero cerco di ricostruire le capacità manuali, tecniche, tecnologiche, artistiche e organizzative degli artisti che lavoravano nelle botteghe operative circa 2500 anni fa, e artefici di capolavori che ancora oggi possiamo ammirare nei musei di tutto il mondo.
Sono anche un archeologo “da campo”. Lavoro tanto sugli scavi archeologici; mi piace molto poter risolvere gli enigmi della storia utilizzando il “metodo stratigrafico”, e poter così “sfogliare” la terra come fosse un libro di Storia, pagina dopo pagina, per cogliere gli indizi che ci permettono di ricostruire la vita quotidiana delle antiche civiltà mediterranee.
Molto spesso quando incontriamo i ricercatori ci dicono che da quando erano bambini volevano entrare nel mondo della ricerca. Per te è stato lo stesso?
Per anni ho lavorato in cucina in ristoranti anche importanti (1 stella Michelin) e devo dire che ho imparato molto anche in quell’ambito. Il cibo, la cucina e la condivisione delle proprie ricette e dei propri piatti (da far assaggiare e assaporare agli altri) sono aspetti che mi hanno sempre affascinato molto anche perché elementi molto identitari di una società. Da archeologo, ho in un certo senso potuto anche unire le mie due passioni principali: ora mi occupo infatti anche dello studio della ceramica da cucina (pentole, padelle, casseruole, etc.) di età greca e romana, per cercare di ricostruire la cultura culinaria di queste due importanti società del passato.
Che esperienza è stata Sumo Science? Quanto è importante raccontare la ricerca ai più giovani?
Una bellissima esperienza, molto stimolante. È stata un’occasione che mi ha permesso di comunicare in maniera totalmente differente con le persone, soprattutto rispetto al modo che solitamente abbiamo noi ricercatori, intenti a scrivere articoli scientifici e a partecipare a convegni dove siamo costretti ad usare paroloni e tecnicismi che possono comprendere solo gli addetti ai lavori.
Poter parlare in maniera più libera e diretta, rispondendo a domande e curiosità di giovani interessati a un mestiere sicuramente faticoso, ma che ha un fascino davvero incredibile, è fondamentale per riuscire a diffondere un rinnovato interesse nei confronti dei beni culturali (che sono un patrimonio inestimabile e, soprattutto, di tutti), e per sensibilizzare le nuove generazioni rispetto all’importanza che la memoria storica ha (e deve avere, se vogliamo un mondo migliore!) all’interno della nostra società.