Francesca GinatempoFrancesca Ginatempo è una professionista sanitaria che ha deciso di seguire la strada della ricerca scientifica: lavora come ricercatrice al dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Sassari, dove si occupa di studiare i meccanismi fisiologici alla base dei movimenti del volto e delle espressioni facciali con cui comunichiamo il nostro stato d’animo.

La tua ricerca si colloca nel campo della neurofisiologia: esattamente di che cosa si tratta?

È la disciplina che studia il funzionamento del sistema nervoso centrale: in estrema sintesi, si può dire che il suo obiettivo è capire meglio come il cervello lavora, non tanto dal punto di vista anatomico ma piuttosto da quello funzionale, in termini di meccanismi di azione. All’interno della neurofisiologia c’è poi un grande campo di ricerca che studia in particolare il controllo motorio: ci chiediamo quindi che cosa succede nel nostro cervello quando ci muoviamo, e soprattutto quali sono i meccanismi che ci permettono di apprendere o modificare il movimento in atto.

Il tuo ambito di ricerca, però, è ancora più specifico…

Io ei miei colleghi studiamo il funzionamento dei muscoli facciali. Ci occupiamo in particolare di capire come i movimenti dei muscoli facciali vengono controllati e regolati dal nostro sistema nervoso centrale e soprattutto come vengono modulati dalle emozioni che vogliamo esprimere, o che vediamo nelle altre persone: per fare un esempio, è possibile studiare che cosa accade nel nostro sistema motorio quando incontriamo una persona triste o felice.

Qual è stata l’evoluzione di questa disciplina?

Le espressioni facciali si studiano da tantissimo tempo: Charles Darwin è stato uno dei primi a parlarne nell’Ottocento. Tuttavia, fino agli anni ottanta dello scorso secolo quasi tutti gli studi erano svolti post-mortem, perché non esistevano strumenti di indagine che permettessero di studiare specifiche strutture all’interno del cervello: tra questi c’è per esempio il tronco encefalico e le sue connessioni con la corteccia motoria, che giocano un ruolo cruciale. Grazie all’avvento delle nuove tecnologie neurofisiologiche, come la stimolazione magnetica transcranica, oggi abbiamo invece la possibilità di studiare in-vivo in un soggetto sano, in modo non invasivo, tutte quelle funzionalità che prima non potevamo valutare. Insomma, dagli anni ottanta a oggi sono stati fatti grandissimi passi in avanti, sia nello studio del controllo motorio, sia in particolare nello studio del controllo del volto.

Quali sono le principali applicazioni?

Un ambito fondamentale è naturalmente quello medico, con particolare riferimento a pazienti che hanno perso la capacità di esprimersi, isolandosi emotivamente. L’obiettivo è cercare di capire meglio quali possano essere le cause e gli interventi riabilitativi in grado di aiutare il paziente a recuperare sotto l’aspetto emotivo ed espressivo. Una delle patologie su cui concentriamo la nostra attenzione è la malattia di Parkinson, in cui si osserva la perdita di espressività del volto. Un’altra applicazione riguarda la distonia oromandibolare, un disturbo che colpisce la parte inferiore del volto e piuttosto difficile da studiare, e per questo ancora poco compreso. Le applicazioni mediche non sono tuttavia le uniche in questo campo.

Puoi farci qualche esempio?

In passato abbiamo lavorato su un progetto che studiava il controllo motorio dei muscoli facciali nei musicisti a fiato, che usano moltissimo la bocca. In particolare abbiamo collaborato con alcuni insegnati di musica, che ci hanno spiegato nel dettaglio quali movimenti facciali sono tipici di questi musicisti, aiutandoci anche nel reclutamento di professionisti esperti. Nello stesso progetto abbiamo anche confrontato i musicisti a fiato con quelli a corde (come pianisti e chitarristi), osservando che ogni musicista evidenzia una specifica peculiarità nel controllo motorio, a seconda dei muscoli interessati.

Un’altra frontiera interessante di queste ricerche riguarda poi anche gli attori e la loro cosiddetta “capacità espressiva”, che molto ha a che fare con il controllo dei muscoli facciali: finora queste caratteristiche sono state studiate principalmente sotto l’aspetto psicologico e comportamentale, ma molto meno da quello neurofisiologico.

Ci racconti un progetto di ricerca su cui stai lavorando attualmente?

Anni fa abbiamo ipotizzato che vedere un’espressione facciale potesse modificare il nostro controllo motorio: in un primo studio pubblicato nel 2020, abbiamo dimostrato che mostrare a una persona una faccia felice induceva un aumento dell’eccitabilità dell’area corticale che innerva i muscoli facciali. Se invece si mostrava una faccia triste o arrabbiata, ciò induceva un aumento dell’eccitabilità delle aree deputate al controllo delle mani. Probabilmente ciò è dovuto alla specificità della funzione del muscolo che stavamo valutando: le mani sono deputate alla protezione del corpo stesso, quindi all’allontanamento degli stimoli negativi. Oggi però abbiamo valutato che gli stimoli che avevamo dato, per quanto efficaci, fossero un po’ lontani dalla vita quotidiana, con volti troppo “statici”. Ora stiamo quindi lavorando su volti “dinamici”, per esempio con l’uso di filmati in cui si passa progressivamente da una faccia neutra a un volto più sorridente, quindi valutando in che modo il sistema nervoso centrale si prepara a rispondere a un sorriso. Il protocollo sperimentale che abbiamo sviluppato è ora sempre più vicino agli eventi reali.

Quanto è importante nel tuo lavoro la collaborazione multidisciplinare con altri scienziati?

Oggi non si può più pensare di fare scienza da soli: la ricerca deve avere una visione integrata, con collaborazioni ad ampio spettro. Noi collaboriamo stabilmente con numerosi esperti di settori diversi, per esempio ingegneri e clinici, ma anche con professionisti non necessariamente impiegati nella ricerca. La collaborazione che citavo prima con gli insegnanti di musica è un ottimo esempio di questo approccio: in quel caso, ci hanno dato una visione dettata dall’esperienza diretta, fondamentale per realizzare il progetto. Il lavoro di équipe aiuta a produrre un’idea di ricerca ottimale e soprattutto a metterla in atto.

Quali sono i feedback che hai ricevuto dagli studenti e le studentesse che hanno partecipato ai match di Sumo, soprattutto in relazione all’interesse verso la tua disciplina?

Questo argomento di ricerca è attraente e attuale, ma ovviamente non è detto che sia interessante per tutti: ho osservato differenze nel livello di interesse tra i vari incontri a cui ho partecipato. Tuttavia, sono rimasta piacevolmente sorpresa dalle domande pertinenti, azzeccate e precise dei ragazzi: ho trovato giovani molto attenti e in alcuni casi anche molto ben documentati.